Regione del Chaco in Argentina
Storia del rispetto ambientale Silvateam
«Il green management, termine che ora va di moda, per noi è ancora il “rispetta la natura” che ci ripetevano i nostri genitori da piccoli, quando chiedevamo perché venivano utilizzati i castagni enfirmos».
Questa frase di Paolo Battaglia - tra i capostìpiti della famiglia ancora oggi alla testa dello storico Gruppo piemontese e per decenni impegnato in prima persona nella conduzione della sede argentina di La Escondida - bene rappresenta uno dei principali aspetti dell’esperienza di Silvateam nella regione dell’“oro bruno”.
Una filosofia che ancora oggi caratterizza l’azione del Gruppo per quanto riguarda la conservazione del patrimonio ambientale, il rispetto delle comunità locali e delle sue tradizioni, la promozione sociale ed economica non solo dei lavoratori, ma di un’intera regione svantaggiata.
Il brano riportato sopra rappresenta un estratto dalle interviste che Andrea Bienati e Maria Cristina Scalcinati hanno raccolto per “Le valli del tannino. Storie di famiglie imprenditoriali monregalesi” (Trauben edizioni, Torino 2004, pagg. 200-03), volume che, curato da Robertino Ghiringhelli, ripercorre l’epopea industriale del Gruppo Silvateam.
Interviste con la storia … e la storia continua
Paolo Battaglia
(…)D.- In quest’ultima risposta, Lei ha iniziato a parlare di un fatto molto importante: il vostro rapporto con il territorio.
R.- Potremmo definirlo un rapporto complesso, ma non complicato. Poiché non siamo intervenuti soltanto nell’universo della fabbrica del tannino, ma anche nella questione sociale. Se, infatti, il nostro Gruppo ha migliorato le tecniche di produzione introducendo l’uso dei concentratori in acciaio dal 1971, soppiantando quelli ormai antebellici in rame in uso dal 1925, siamo anche orgogliosi di essere additati oggi come esempio di imprenditori stranieri che hanno ottimizzato le risorse e progredito con i propri operai. Dal 1983 abbiamo verticalizzato la produzione con la produzione in loco prima di furfurolo, usato nella raffinazione degli idrocarburi, poi di acido furfurilico. Abbiamo quindi iniziato a lavorare non più soltanto per l’export, ma produrre in modo mirato anche per il mercato interno. Vede, il tannino non serve solo per la concia, è una questione di formule e può diventare un componente del settore alimentare, soprattutto nell’enologia. Va da sé che vi sono due impianti nei quali abbiamo introdotto il lavoro all’europea, ossia con tutte quelle forme di tutela sociale nei contratti, che qui sembrano sconosciute. Anzi, dovremmo dire all’italiana, poiché nemmeno la nostra concorrenza, anch’essa di matrice europea e attiva in Argentina, ha ricevuto i riconoscimenti che le autorità locali ci hanno riservato per la nostra attività di promozione sociale.
D.- Un mondo idilliaco, ma quando oggi pensiamo all’Argentina ci assalgono le immagini di manifestazioni di piazza per l’inflazione e la crisi economica che accomunano medici e operai, impiegati e agricoltori.
R.- La crisi di questi anni è economica, ma non di risorse, il rapporto “risorse per abitanti” è altissimo, il problema è stata la stipulazione incontrollata dell’indebitamento pubblico. Già prima della svalutazione sia il costo della manodopera che quella del legno erano bassissimi. Ora sono irrisori, perciò occorre ridare dignità al lavoratore con dei salari e dei sussidi che ne tutelino il modus vivendi senza effettuare eccessivi tagli. Altrimenti accadrà come per il quebracho, che, tagliato indiscriminatamente, andrà via via esaurendosi in certe zone – nelle migliori – costringendoci a spostarci nella ricerca e ad accontentarci.
D.- Un paragone ardito, che però spiega come sia inteso il rapporto con la natura nel Chaco e in Argentina. Il quebracho è sentimento, come ho potuto leggere nei libri di poesia a “lui” ispirate.
R.- Sì, il quebracho è la pianta sacra degli Indios Toba, che erano i padroni del Chaco prima della venuta dei coloni agli inizi del ‘900. Attorno ai fusti di questa “pianta colossale” si celebravano riti sacri sotto le sue fronde, era una sorta di santuario naturale. Si dice che pianga quando viene tagliato, trasuda da subito il tannino, e che da quelle lacrime nasca la ricchezza della Razachaco - Le leggende hanno un fondo di verità e non a caso il tannino migliore di quest’area, dove i terreni hanno un dolce declivio e un’altitudine giusta, quasi rispettosa della “pianta che rompe le asce” - Anche le leggi forestali sembrano rispettare la sacralità della pianta, dal momento che impongono il taglio solo delle piante enfermas (malate), tutelando i renovales (giovani alberelli), che d’altronde non hanno ancora la stagionatura adatta all’estrazione del tannino. Noi, nel nostro piccolo, tentiamo di non danneggiare l’ecosistema e ogni anno nei terreni della Escondida, rinnoviamo il nostro “patto” con la natura reimpiantando diecimila nuove piante. Purtroppo, come già detto, gli agricoltori non hanno più memoria dei miti e delle leggende, oggi devono mangiare e sopravvivere, così stanno indiscriminatamente disboscando grandi aree per piantare la soglia. E’ un’adattarsi al mercato mondiale, dopo il fenomeno di mucca pazza e lo scetticismo verso i mangimi chimici, e viene piantata una coltivazione che rappresenta anche un investimento per il futuro perché, nell’arco di tre o quattro anni, rende i terreni fertili. Il quebracho resta, comunque, la fonte primaria del lavoro per la Razachaco. Si immagini che quando negli anni Novanta introducemmo delle macchine per esfoliare la corteccia delle piante, solo il 70% del tronco serve per i tannini, il Governo intervenne per bandire l’uso di queste tecnologie che riducevano il bisogno della manodopera locale, dei peladores che, pur lavoratori occasionali, vivono sulla lavorazione prima della pianta, quella che viene fatta nelle foreste, direttamente sul luogo.
D. - Una sorta di produzione integrata nell’ambiente naturale. Le leggende, allora, vengono rispettate. Ma come cambia il mercato davanti all’invasione dei tannini sintetici e del cromo?
R.- Oggigiorno è cambiato il mercato mondiale, è diminuita la produzione, ma anche la richiesta di un prodotto che resta di nicchia, per la concia naturale, quella che in Italia è restata e difesa nel polo conciario di Santa Croce. In Argentina delle trenta aziende del Dopoguerra che comparivano sul mercato, oggi ne restano solo tre, delle quali la nostra copre il 43% della produzione. C’è crisi, sono diminuiti i consumi e, soprattutto, è diminuita la capacità d’acquisto. Perciò è molto forte la concia al cromo, con effetti devastanti sull’ambiente e il Brasile sta proponendo un tannino estratto dalla corteccia della mimosa. La sfida, però, non ci spaventa, il nostro mercato ha cinquanta Paesi di afferenza e uffici commerciali in Italia, Argentina, Cina e Brasile.
Guardare avanti non vuol dire rincorrere il profitto a ogni costo, ma mantenere una propria linea e rispettare le proprie origini apportando innovazioni e non stravolgimenti. Il green management, termine che ora va di moda, per noi è ancora il “rispetta la natura”, che ci ripetevano da piccoli quando chiedevamo perché venivano utilizzati i castagni enfirmos, le leggende hanno sempre un fondo di verità!
D.- Come vorrebbe che fosse ricordato il Gruppo Silvateam in Argentina?
R.- Un’azienda che non ha impoverito la nazione, che non l’ha sfruttata, che ha creato una sorta di cogestione con le rappresentanze dei lavoratori, promuovendo il rispetto dell’individuo prima che del lavoratore. Nel Chaco dei peronisti, dei desaparecidos, noi non abbiamo mai avuto problemi, abbiamo cercato un ponte con il Monregalese, basato sul lavoro e sulla formazione. Dinanzi all’informatizzazione e alla meccanizzazione non tagliamo, ma formiamo i nostri lavoratori per nuove sfide a Buenos Aires, a Mondovì, con le borse di studio e i sussidi. Solo chi non ha fame lavora bene e chi è soddisfatto di sé rende di più. Non è uno slogan ma la nostra linea di sviluppo nel territorio. Forse l’han capita anche le istituzioni, che ci hanno conferito diversi riconoscimenti.